Il senso della vita: scopri lo scopo della tua esistenza

Qual è il senso della vita?

Voglio dire, per cosa siamo qui?

A che scopo ti alzi ogni mattina e fai tutto quello che fai?
Perché viviamo, dove stiamo andando, a che serve tutto questo?

Quando nel 2008 ero a Cento, come direttore di un negozio di abbigliamento, una mia collaboratrice disse, una sera mentre lasciavamo il negozio dopo la chiusura, che la vita è pagare le bollette.

Tutto qui?

Non lo credevo allora, ancora meno ci credo oggi.
Che cos’è il senso della vita?

Il senso è la direzione.
Pensa a una strada: si chiama “senso di marcia” la direzione in cui ti muovi.

 

Il senso della vita è la direzione in cui ti muovi

Il senso della vita

E questa direzione dipende sempre dal motivo del viaggio. In base allo scopo del viaggio, decido la direzione che mi porterà davvero a destinazione.

Se parto da Reggio Calabria, dove vivo, e voglio andare a Roma, se il mio scopo è arrivare a Roma, allora la direzione che prenderò sarà totalmente opposta a quella che prenderei se volessi andare a Palermo.

Quando parliamo di senso della vita parliamo di felicità. Tu vuoi essere felice, come lo voglio io e lo vuole chiunque.

Per cui la direzione la prendiamo in forza di ciò che riteniamo capace di renderci felici.

Questo è quello che io chiamo “tesoro“, ossia la cosa che ritieni più importante e che sarà la fonte della tua felicità.

Di solito, quando parliamo di senso della vita o felicità, le persone credono che ognuno sia felice a modo suo.

In realtà ho scoperto che questo è falso.

Noi siamo tutti esseri umani.
E siamo tutti diversi.

C’è quindi qualcosa che ci rende tutti uguali seppure differenti.

La nostra natura è uguale, il modo in cui mi emoziono e piango, è lo stesso in cui lo fa chiunque altro.

Il modo in cui nascono le tue emozioni è uguale al modo in cui nascono le mie, anche se ci emozioniamo in modi diversi e per cose diverse.

E così ho capito che la nostra natura, che tende alla felicità, ha lo stesso scopo.

Tutti, in quanto esseri umani abbiamo lo stesso scopo.
Il senso della vita è uguale per tutti
.

Ma la nostra missione, il modo in cui perseguiremo questo senso, il modo in cui faremo il nostro viaggio, è unico e cambia da persona a persona.

Un solo scopo, che ci unisce e lega in quanto esseri umani, infiniti modi (missioni) per realizzarlo, che ci rende unici e speciali.

Io ho cercato e trovato questo senso della vita.
Ho compreso lo scopo della nostra esistenza e poi ho trovato la mia missione.

Ho per te due storie che ti aiuteranno a capire meglio quello che ho scoperto.

La prima ti mostra cosa accade quando non comprendiamo lo scopo della nostra esistenza e finiamo per “girare in tondo” inutilmente, senza meta.

La seconda ti aiuta a capire (mi commuovo ogni volta che la rileggo!) qual è davvero il senso di tutto.

Buona lettura.

 

 

Quando la vita non ha senso e fai solo un girotondo

La vita non ha senso

Conosci Giovanni? Sta seduto su una panchina…

…e guarda il giardino davanti a sé.
Nota una ragazza con una sciarpa rossa che gioca a fare il girotondo con altri due giovani.
Ridono, scherzano e si vede che sono contenti.

A un certo punto, però, i due ragazzi si allontanano, ognuno entrando in un diverso girotondo con altre persone, e la ragazza con la sciarpa rossa resta sola.

Si ferma, sembra disorientata, intimorita. Si porta la mano sulla fronte, un po’ preoccupata.
Si accovaccia per terra, osservando con uno sguardo impaurito gli altri che giocano.

A quel punto Giovanni è attratto da un uomo distinto, vestito con un abito elegante, che cammina, a braccetto, con una donna altrettanto elegante, vestita d’azzurro.

I due vanno avanti e indietro lungo un vialetto del giardino.
A un certo punto l’uomo sembra seccarsi, si sgancia dalla donna e saluta un ragazzo.

I due si mettono a parlare e iniziano ad andare su e giù per lo stesso vialetto.
La donna d’azzurro resta lì, impaziente e visibilmente infastidita.

Dopo qualche minuto l’uomo si stacca anche dal giovane e inizia a fare delle buche lungo il viale e piantare dei fiori: tulipani, rose, margherite di ogni colore.

La donna e il giovane lo applaudono e lui sorride, finché si volta e nota che entrambi si sono allontanati lasciandolo solo. L’uomo si alza, getta via i fiori e rimane fisso a guardare nel vuoto.

Lo sguardo è triste, sembra stia per piangere, e non bada a un anziano che si avvicina per fare i complimenti per i suoi fiori meravigliosi. All’uomo distinto non interessano più.

“Guarda quel giovane vicino alla fontana” suggerisce un’anziana donna che si è seduta accanto a Giovanni.
Il ragazzo alla fontana è diverso da tutti gli altri in effetti: cammina con passo deciso e sicuro.

Non sembra che stia passeggiando, ma andando da qualche parte di preciso.

Una bambina lo ferma e gli dice qualcosa. Il giovane le risponde indicando un punto lontano.
Giovanni non sente cosa dicono, sono distanti e parlano senza gridare.

Dopo qualche secondo il giovane riparte e la bambina lo segue.
Quindi li ferma un signore anziano, il giovane parla con lui indicando lo stesso punto di prima.
Poi riparte con la bambina accanto, mentre l’azione è titubante.

Pochi metri dopo una ragazza con i capelli lunghi raggiunge il giovane. I due si parlano qualche istante, si abbracciano,
e proseguono tenendosi per mano, con la bambina sempre accanto al giovane.

Dopo aver superato un laghetto però, la ragazza dai capelli lunghi si ferma.
Si vede che è tesa, il giovane sorride, lei si allontana e il ragazzo riprende la strada verso il punto lontano che aveva indicato prima di separarsi dalla ragazza dai capelli lunghi.

“La noti la differenza con tutti quelli che stanno in questo giardinetto?” chiede la donna anziana a Giovanni. Lui si volta osservando che è vestita con una camicia arancione ma non risponde nulla.

Lui va da qualche parte” spiega la donna, “l’uomo distinto andava avanti e indietro lungo il vialetto, senza meta, e quando la donna e l’amico lo hanno lasciato solo, i fiori che amava non gli interessavano più.

E la ragazza con la sciarpa rossa” proseguì la donna, “appena è rimasta sola si è sentita persa, immobilizzata, mentre solo un attimo prima sembra la persona più felice del mondo!”.

Giovanni rivide tutte le scene nella mente, osservando il giovane che continuava con passo deciso, fermandosi ogni tanto a dire qualcosa a chi incrociava, indicando sempre il solito punto lontano.

“La gente di questo giardino trascorre il suo tempo e non sa che farsene in realtà” aggiunse l’anziana alzandosi dalla panchina, “mentre quel giovane ha una meta, gli altri vagano senza un obiettivo“.

Guardò Giovanni, indicò un punto lontano e si incamminò in quella direzione.

 

Se ho uno scopo, la solitudine e gli altri diventano opportunità.
Se non ho uno scopo, la solitudine diventa vuoto e gli altri un bisogno.

Quando sono solo e ho uno scopo, quello è lo spazio migliore per progettare cosa fare, osservare come sto lavorando, pianificare, decidere, creare e rigenerare le mie energie.

E gli altri diventano un dono, un supporto, i destinatari del mio impegno.

Ma se non hai uno scopo, cambia tutto.
La solitudine diventa un problema, un vuoto. E usi gli altri per riempirlo.
Stando male ogni volta che questo non ti riesce come vorresti.

Senza uno scopo la vita non ha senso.

E quando non ha senso gli altri diventano un buon modo per non pensarci.
Ne dipenderai, e la vita non avrà senso comunque.

Quando non hai uno scopo occupi il tempo aspettando che trascorra.
Quando hai uno scopo usi il tuo tempo per realizzarlo.

Il vero problema non è essere soli, non è la presenza degli altri, il loro amore, il loro supporto: il vero problema è non avere uno scopo.

Così finisci per passeggiare tutta la vita senza andare da nessuna parte.

E quindi arriviamo alla seconda storia.

 

Il senso della vita e la fabbrica di peluche

Qual è il senso della vita

Un gruppo di persone decisero di aprire una fabbrica di orsacchiotti di peluche.

Ognuno avrebbe fatto la sua parte: alcuni cucivano a mano, uno per uno, ogni orsetto.
Altri pubblicizzavano i loro pupazzetti.
Altri ancora li vendevano fuori dalle scuole.

Chi cuciva era orgoglioso del proprio orsetto e ognuno aveva un nome ideato dal proprio creatore.

Chi pubblicizzava gli orsetti e li vendeva, chiacchierava con i bambini e i loro genitori, faceva vedere ogni orsetto, diventava una persona fidata.

Per alcuni anni tutto andò per il meglio: la produzione era ottima, i loro orsetti amati dai bambini e le vendite andavano benissimo.

Poi si accorsero che avrebbero potuto guadagnare di più se avessero usato le macchine da cucire, così divisero la creazione in fasi più rigide.

Alcuni cucivano solo la testa, altri le zampe, altri il corpo.
Infine alcuni assemblavano tutto insieme.

In questo modo si creavano più orsacchiotti, anche se ogni tanto qualcuno veniva buttato perché difettoso.

Chi si occupava delle zampe, inoltre, aveva espresso un po’ di malumore perché adesso era meno piacevole e più ripetitivo il proprio lavoro.

E anche chi si occupava di vendita e promozione doveva fare più in fretta, meno chiacchiere con i bimbi e più fatturato.
Non poteva più giocare con i futuri acquirenti.

Le vendite crebbero e tutti lasciarono cadere le loro lamentele.

Qualche mese dopo pensarono di creare una vera e propria catena di montaggio.
Più pezzi, meno fatica, più rapidamente.

Vista la complessità, affidarono la gestione a manager professionisti.

Adesso erano le macchine a cucire e assemblare gli orsetti, mentre le persone dovevano solo occuparsi di controllare e gestire il sistema.

Chi vendeva i peluche smise di incontrare i bambini fuori dalle scuole: aprirono un negozietto dove erano esposti e misero un venditore a fare gli scontrini.

Le vendite non furono mai così alte.
Ma i manager non erano soddisfatti, si poteva fare di più.

I pezzi difettosi erano tanti, e chi amministrava si lamentava dei costi.

D’altro canto il lavoro era diventato noioso e chi prima cuciva a mano adesso si sentiva poco utile e il lavoro era diventato un peso.

I manager pensarono che la soluzione fosse semplice: una catena di montaggio più efficiente e rapida, meno personale costoso e inutile, niente venditori ma uno store automatizzato e vendite online!

Uno a uno, i fondatori della fabbrica, furono tutti licenziati.

Nel giro di qualche mese non si facevano più orsacchiotti, ma cappellini e magliette con le stampe dei personaggi dei cartoni animati: vendevano molto di più.

 

La nostra mente è come questa fabbrica.
Invece di peluche, produce pensieri.

Inizialmente siamo liberi da schemi e paure, facciamo le cose che amiamo, con passione, cuciamo ogni orsacchiotto a mano e gli diamo un nome.

Ci divertiamo, mettiamo amore, entusiasmo.

Poi, con il tempo, qualcosa cambia: possiamo avere di più.

E così nella fabbrica smettiamo di dare la priorità a quel che è bello fare, e prevale quel che si deve fare, quel che rende e frutta di più.

E senza accorgercene lasciamo che a gestire la nostra vita siano gli altri: datori di lavoro, politici, partner, figli, genitori, amici.

Cucire a mano un peluche “è bello”, ti senti dire, “ma quanto ci metti? Ti conviene?”.

Ovviamente no, lo sai, abbassi gli occhi e guardi il tuo orsetto.
Lo stringi nella mano e sai che lo ami.

Lo ami perché lo hai fatto con amore, c’è tutto il tuo entusiasmo, la tua voglia di vivere.

Ma non rende, puoi avere di più.

Così iniziamo a farci schiacciare dal sistema per cui dobbiamo fare quel che tutti fanno, produrre, essere più efficienti, più efficaci.

E anche se lo senti che prima era bello goderti ogni singolo orsacchiotto, dargli vita e crearlo senza fretta, vai avanti: in fondo ora guadagni di più, hai successo, i risultati ti dicono che stai migliorando.

E così ti perdi.

Fino al punto che tu non servi più alla tua fabbrica, e ti licenziano!
Finendo per vivere la vita che gli altri hanno pensato per noi, per fare quel che ci si aspetta da te.

Fino a qualche anno fa pensavo di volerlo io.
Che quella catena di montaggio in cui stavo fosse il meglio, la “mia casa”, la mia scelta.

Poi, un giorno, ho ritrovato nello scatolone impolverato un orsacchiotto di peluche, di quelli cuciti a mano.

Vecchio, logoro, imperfetto.

La vita è amare

L’ho abbracciato e ho capito che il senso, nella vita, non è produrre, non è fare, non è arrivare.

Il senso della vita è amare.

Ho gettato via tutto, ho distrutto la catena di montaggio e licenziato i manager.
Ma sai che non si ricordavano che lavoravano per me?! 😀

E sì, ci facciamo controllare e licenziare da persone che in teoria abbiamo assunto per aiutarci a vivere meglio, e che diventano i nostri “carcerieri”.

Per il nostro bene.
Ovviamente con le migliori intenzioni.

Perché anche loro hanno confuso l’avere con l’essere, il mezzo (la fabbrica) con lo scopo (l’amore).

Il senso della vita è amare.

Creare con calma ed entusiasmo ogni singolo orsetto, ognuno unico, diverso dagli altri, dargli un nome e sapere che è una parte di te, che parla di te al mondo.

Creare a mano ogni singolo orsacchiotto sapendo che sono l’amore e l’entusiasmo che ci metti a fare davvero la differenza.

E poi donare quell’orsacchiotto a un bambino commuovendoti nel vedere il sorriso che si spalanca di fronte a quel piccolo, insignificante orsetto che ti è costato ore di lavoro.

E di gioia.

Il senso della vita è andare a letto sereno, con il cuore leggero, con quei sorrisi nella mente, sapendo che non vedi l’ora di alzarti, domani mattina, per rimetterti a cucire, con amore, il tuo prossimo capolavoro.

La forma che gli darai è la missione con cui perseguirai il tuo scopo.
Unico per tutti. Diversa per ognuno di noi.

Ora che sai qual è il senso della vita, non ti resta che realizzarlo ogni giorno.
Ama, la tua vita sarà piena e ricca di significato e tu sarai felice.



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