Solitudine.
Quasi tutti la vivono come qualcosa di brutto, sinonimo di sofferenza e malessere.
Ma davvero stiamo sempre male se siamo soli?
O non ci sono situazioni in cui anche tu preferisci essere solo, o sola, perché in quel momento stai bene così (magari fai qualcosa che ti piace e che godi pienamente solo se non c’è nessuno a distrarti)?
A volte capita anche di dire qualcosa come: “Solo io e te?” quando magari siamo “soli” con una persona (o più!) con cui non ci troviamo bene.
E se stare male in solitudine significasse anche stare male con noi stessi?
Allora forse il giusto approccio sarebbe quello di imparare a starci bene, con noi stessi.
Oggi analizziamo la solitudine sotto ogni punto di vista per conoscerla meglio, scoprire se davvero fa stare male (e se sia inevitabile) e vedere se c’è un modo per viverla serenamente.
- La paura di essere soli.
- La solitudine e il senso di vuoto.
- La gioia (o il bisogno?) di condividere.
- Siamo soli o ci sentiamo soli?
- La paura di non farcela da soli.
- Il segreto per vivere bene la solitudine.
- Dalla paura di stare soli al piacere di vivere con se stessi.
Bene, abbiamo molto da vedere e su cui riflettere, per cui cominciamo!
Solitudine: la paura di essere solo
Ho circa 10 anni.
Gioco a pallone nel cortile di casa di un mio carissimo amico che, ad un certo punto, mi fa vedere un gioco che consiste nel tirare la palla contro un muro per poi prenderla senza farla cadere a terra per almeno 5 volte.
Dal mio sguardo il mio amico capisce che io non conosco quel gioco e quasi stupito, si ferma, si mette il pallone sotto il braccio, mi guarda fisso negli occhi e dice: “si vede che tu non conosci la solitudine”.
Io rimango immobile e senza parole.
Effettivamente ha ragione, cerco sempre di essere in compagnia di tanti amici.
Ho 26 anni e da circa un anno lavoro a Napoli dove sono nato e cresciuto.
Mentre sono in ufficio entra il capo del mio capo e mi dice: “Dottor Soffietti Lei andrà a lavorare per qualche mese nel nord Italia in modo da potere accrescere la sua professionalità, Le farà bene. Andrà prima a Milano e poi a Pordenone”.
A Milano conosco delle persone che si sono trasferite per lavoro (tante persone del sud emigrano al nord per lavoro) e così di giorno lavoro e di sera organizzo spesso cene con amici.
Arrivo a Pordenone e sono SOLO.
La sera cammino per strada.
Non c’è nessuno.
Sento solo il rumore dei miei passi e sento un freddo pazzesco. Camminando cerco di capire in quale ristorante entrare a mangiare. Scelgo, entro e mi siedo.
Mi sento SOLO.
Realizzo che non sono mai stato a cena fuori da SOLO.
Mi sento strano e non a mio agio.
Mi accorgo che ho sempre giudicato strane le persone che ho visto sole al ristorante. Mi giro con “finta” disinvoltura e controllo se le altre persone mi osservano.
Mi sono accorto che sin da bambino e per molti anni ho fatto sempre di tutto per non vivere la solitudine.
Ma che cos’è la solitudine?
Secondo la definizione del dizionario Treccani la solitudine viene descritta come “la condizione di chi è solo, come situazione passeggera o duratura”.
Nel sentire comune la solitudine, tendenzialmente, ha un’accezione negativa. La società ci insegna che soffriremo se saremo soli.
Ragionando con calma, effettivamente, avevo paura della solitudine quando cenavo le prime volte al ristorante da solo, mi sentivo anche un poco sfigato.
Se si ha paura di qualcosa, inevitabilmente, si proveranno emozioni negative.
Tutti noi desideriamo essere felici ed abbiamo paura di ciò che può ostacolare la nostra serenità.
Accogliamo tutto ciò che pensiamo ci renda felici provando emozioni positive, ci allontaniamo o contrastiamo, provando emozioni negative, tutto ciò che pensiamo possa ostacolare la nostra felicità.
Abbiamo paura della solitudine e, orientativamente, la respingiamo o la evitiamo.
Direi che per quanto ci si possa impegnare, è impossibile non dovere fare i conti con la solitudine durante la propria vita.
C’è qualcosa, però, che non mi torna.
A me è capitato di sentirmi solo anche se in compagnia o in mezzo alla folla e, al contrario, di stare benissimo seppur in solitudine.
Cosa determina la differenza nello stare bene o male in solitudine?
Ho capito questo: io provo emozioni negative, perché ho paura, quando penso di essere solo, quando sento “l’assenza” e questo, indipendentemente se sono o meno in compagnia.
Il pedagogista Leo Buscaglia, nel libro Amore, scrive che “ciascuno di noi può donare agli altri solo quello che ha”. Solo se io imparo prima ad amare me stesso e a capirmi, allora potrò donare agli altri amore e comprensione.
Anche Erich Fromm, nel libro l’arte di Amare, scrive: “paradossalmente, la capacità di stare da soli è la condizione prima per la capacità di amare”
Giacomo Papasidero nell’articolo “Soffrire di solitudine e sentirsi soli: la soluzione è dentro di te” scrive: “la solitudine non è l’assenza degli altri ma la presenza di noi stessi”. Ed ancora “non c’è pericolo a rimanere soli ma soltanto nel non sapere fare a meno degli altri”
Il mio stare bene o male dipende dal significato che attribuisco alla solitudine e da come la vivo: se mi sento o meno solo.
Se ripenso ai momenti di solitudine che ho vissuto bene mi accorgo che non mi sentivo solo perché non sentivo assenza o vuoto.
Vuoto scrive Gianluca.
Passo la parola a Serena, perché lei lega molto la solitudine al senso di vuoto.
Essere soli o sentirsi vuoti?
Di Serena Sironi.
Mi è capitato tantissime volte di vedere persone che pur soffrendo di solitudine cercano dei momenti in cui stare soli.
Eppure, potresti dirmi, io sto benissimo da solo, o da sola quando mi gusto un tramonto, della buona musica, un bel libro o una passeggiata in montagna. Non soffro la solitudine.
Ma siamo sicuri?
Prova a immaginare, se non avessi nessuno per cui essere importante, qualcuno che sai ti cercherà o a cui farà piacere condividere con te qualche momento. Se non avessi qualcuno che ti sta aspettando…
Pensa se avessi la certezza di essere indifferente agli occhi di tutti.
Riusciresti ancora a vivere così serenamente quel momento di solitudine?
Finché non capiremo quanto valiamo, avremo la percezione di vivere meravigliosi momenti nella solitudine con noi stessi, ma in realtà saremo solo annebbiati dalla sicurezza o almeno dalla speranza di essere importanti per qualcuno, di interessargli in qualche modo.
Se non avessimo questa certezza, potremmo anche vivere quel momento godendoci quello che contiene, ma si tratterebbe solo di una distrazione temporanea.
Così, appena torneremo a guardare alla nostra vita quel senso di solitudine si ripresenterà prepotente.
Tristezza, smarrimento, senso di inutilità, disperazione magari.
In fondo, chi soffre la solitudine teme il non senso e l’inutilità e non a caso nella solitudine temiamo anche il vuoto e l’oblio.
Se ci pensi, l’oblio non è altro che la paura di essere dimenticati per non avere lasciato alcun segno al nostro passaggio.
E un segno sarebbe la dimostrazione che in qualche modo siamo stati utili, necessari e preziosi per qualcuno o per qualcosa.
Il fatto è che chi ha paura di rimanere solo, si sente già solo e sente già di non avere un senso né alcuna importanza. Ma usa gli altri per riempire il senso di vuoto con l’illusione di essere utile a qualcuno, e le distrazioni per non pensarci.
L’errore è che in questo modo non stiamo affatto riempiendo la nostra vita, ma soltanto il nostro tempo.
Ma il senso di vuoto, potrebbe anche bussare alla nostra porta quando siamo abituati a stare con qualcuno e questo viene meno.
Potrebbero essere i figli, un compagno di vita o un grande amico.
Ma quando questo si allontana o viene mancare, avvertiamo immediatamente quella solitudine che non avevamo ancora sperimentato e che magari non soffrivamo neanche prima della relazione che in qualche modo stiamo perdendo.
La soluzione non è trovare un’altra persona, cosa o attività per riempire quel vuoto, ma guardare a quello che ancora e comunque c’è, e cercare il senso della nostra vita che non è mai legato a qualcosa di materiale, ma che va cercato dentro di noi.
Paradossalmente la solitudine che tanto temiamo sarà la condizione migliore in assoluto, quella che ci permetterà di rientrare in contatto con la parte più profonda di noi stessi.
Per stare in solitudine e ritrovare noi stessi dovremo essere disposti ad accettare di lasciare andare ogni attaccamento per diventare invece consapevoli di noi stessi.
Diventare consapevoli di se stessi significa conoscersi e conoscere se stessi è amore per se stessi.
Allora ricorda: se pensi che la solitudine sia solo una condizione di tristezza e sofferenza, ti stai solo confondendo con la paura di non avere un senso.
La vera solitudine è quella che vuoi vivere per riconoscerti e riscoprirti mentre impari ad amare amando te stesso, o te stessa.
La vera solitudine è quella che ti permette di scoprire e diventare pienamente consapevole del senso che ti appartiene.
Non male come cambio di prospettiva: la solitudine come spazio per amarti e amare e non come assenza.
Io ho notato che la solitudine, e la sofferenza collegata, riguarda spesso la responsabilità e la condivisione.
Iniziamo dalla condivisione, partendo dalle parole di Megumì.
Qual’ è il problema se sono solo?
Te lo sei mai chiesto?
Così, ti chiedo: il vero problema è “essere solo” o piuttosto, ciò che il fatto di essere solo (tu pensi) ti impedisce di ottenere? Fermati un attimo a pensarci, è una differenza davvero importante.
Sai qual è il rischio?
Di finire con l’ingannare noi stessi cercando il vero problema nel posto sbagliato 😉
Prima di tutto, come è possibile che ci sentiamo soli se siamo circondati da così tante persone che abitano la nostra Terra? 😀
In realtà dunque, probabilmente, il punto non è “essere soli” (perché non è vero 😉 ) ma volere accanto esattamente le persone che diciamo noi nel modo in cui diciamo noi.
E in questo sono certa che l’abitudine ricopra un ruolo decisivo.
Se sei sempre stato abituato ad esempio ad associare il momento del pasto con la compagnia di una o più persone, magari sempre le stesse, o ad esempio a frequentare determinati luoghi sempre in compagnia di qualcuno, allora è facile che nei mesi e negli anni si sarà sicuramente formata l’associazione automatica “mangiare = farlo in compagnia di…” o “andare al cinema = essere con…”
Conosco persone che trovano estremamente triste mangiare da soli.
O che non andrebbero mai al cinema o a teatro o in viaggio da soli. Ma ne conosco tante altre, (tra cui me stessa, per cui posso testimoniarlo) che adorano fare tutte queste cose e moltissime altre da soli.
Aspetta…”da soli”?
Eh, no 😀
In particolare c’è una cosa adoro fare, diciamo “senza la compagnia di altre persone”: andare a camminare, soprattutto in mezzo al verde, meglio se in un contesto il più possibile naturale e incolto.
Riflettevo proprio qualche giorno fa sul fatto che in realtà non mi sento affatto “da sola” in quei momenti, così come in tutti quelli in cui sono completamente immersa in qualcosa, ma in ottima compagnia, in compagnia della migliore me stessa, quella con cui posso riflettere, dialogare, risolvere problemi, ammirare incantata una meravigliosa alba o ascoltare una bellissima musica, in pieno spirito di condivisione 🙂
Ricordo, però, che qualche anno fa non era esattamente lo stesso.
Perché, al culmine del benessere e della felicità, in cui, pur da sola mi sentivo perfettamente completa, si era insinuato un pensiero: “se adesso avessi accanto a me una persona speciale con cui poter condividere tutto questo, una persona che sente le mie stesse cose, sarebbe ancora più meraviglioso e perfetto”.
E mi rendo chiaramente conto, a distanza di mesi, tornando in quei luoghi, di quanto quel pensiero avesse in realtà contaminato, allargandosi come una macchia, la perfezione e la meraviglia di quei momenti che in realtà erano già perfetti così com’erano.
Comprendo ora che il mio non era desiderio di condividere per donare, ma per cercare di ottenere ancora di più di ciò che già avevo, senza aver compreso che era già tutto.
Era già tutto perfetto perché pochi istanti prima ero riuscita a sentire la perfezione e la meraviglia del sentirmi completa esattamente con la compagnia di me stessa, completamente immersa nella natura circostante.
Se nasce in te il desiderio della condivisione perché sei talmente felice e completo da solo, e desideri soltanto donare anche ad altri l’opportunità di vedere come te quei luoghi, di provare le tue stesse sensazioni, allora si tratta di una condivisione vera che non toglie nulla a te ma offre agli altri.
Se invece il tuo è un “bisogno” di condividere nell’illusione che da solo ti manchi qualcosa, o se, pur stando bene, pensi che con qualcuno di “speciale” al tuo fianco potresti stare ancora meglio, allora stai schiudendo le porte a una inevitabile pretesa.
E se stai seguendo le lezioni della Scuola, sai che la pretesa porta sempre con sé emozioni negative. Emozioni legate alla mancanza.
Proprio quel “potrei stare meglio se”, che rovina tutto.
Ieri mi è caduto l’occhio su una frase di Nelson Mandela, che desidero condividere con te: “Possano le tue scelte riflettere le tue speranze e non le tue paure”.
Quante volte scegliamo per Paura e non per Amore?
Quante volte ci accontentiamo, pur di non restare soli (paura), di occupare il nostro tempo in attività che non ci interessano neanche, pur di non rischiare di rimanere soli, perdendo così di vista giorno dopo giorno chi siamo davvero e dove stiamo andando?
Ho sempre avuto questa immagine, riguardo alla solitudine: un gruppo di persone si incammina per scalare una montagna. Il percorso è ripido e scosceso, impegnativo.
In realtà, è un’immagine che è in parte anche un ricordo, perché da ragazza sulle Dolomiti ho fatto la bellissima esperienza di scalare una montagna fino alla vetta.
Eravamo partiti in venti ma in cima alla vetta arrivammo solo in due.
Se hai un obiettivo, e il tuo obiettivo è forte, la cosa che conta è raggiungere la cima, perché sai (e così è stato davvero) che, una volta arrivato in cima al monte, potrai godere di una vista meravigliosa.
Che è meravigliosa in sé, che tu sia solo o in compagnia.
E hai la forza e l’entusiasmo di andare avanti anche quando inizi a sentire la stanchezza, i muscoli doloranti, anche quando i tuoi compagni di viaggio decidono di fermarsi e ti invitano a fare lo stesso (“chi te la fa fare?“)
Hai qualcosa da condividere, o cerchi qualcosa per condividerla?
Quando chiedo quale sia il problema per cui temiamo la solitudine, magari facendo un diario emotivo, la risposta più frequente è che non possiamo condividere qualcosa con qualcuno.
Cosa?
Qualsiasi cosa, è la risposta più comune.
A che ti serve condividere?
Se io ho qualcosa da dire, qualcosa di bello, di speciale, di interessante, allora sarà meraviglioso poterlo condividere con te.
La condivisione sarà quindi solo un mezzo con cui porto a te quell’esperienza che ho fatto io e che penso sia utile tu la scopra.
Ma oggi tendiamo a condividere per il gusto di condividere, una sorta di condivisione fine a se stessa che da mezzo diventa fine.
Perché condividi? Perché voglio condividere.
Spesso non c’è niente da condividere, e così condividiamo tutto, pur di condividere qualcosa.
Una droga che i social network hanno enfatizzato all’eccesso.
Ci riflettevo l’altro giorno parlando con mio fratello.
Prima io avevo qualcosa da dire e cercavo un canale di comunicazione per dirlo, per condividerlo.
Oggi è il contrario: abbiamo tutti quel canale e lo riempiamo di qualsiasi cosa, pur di condividere.
Tra l’altro non è neanche una vera condivisione: io non sto dividendo qualcosa di mio con te, lo sto semplicemente mettendo in mostra, perché tutti lo sappiano.
La condivisione dovrebbe essere una sintonia, un’intesa.
Tanto più viviamo la condivisione come mezzo per stare bene (non condivido per amare, ma per sentirmi bene), tanto più soffri la solitudine, cioè l’impossibilità (solo apparente secondo me) di condividere quello che fai con qualcuno.
E non per il piacere dello scambio, ma per soddisfare la dipendenza da condivisione con cui cerchiamo benessere.
Condividere ci fa sentire importanti, apprezzati, compresi… insomma, dietro la condivisione c’è un grande bisogno di sentirci amati, di allontanare la sofferenza e il malessere.
Un vuoto, un’insicurezza personale (se piace quel che condivido significa che valgo, che vado bene).
Come scriveva Megumì, quell’esperienza non è più bella se condivisa.
Quell’esperienza è bella per come io la vivo.
Perché quello che provi non dipende MAI da chi lo condivide con te, da cosa fai o dove ti trovi, ma sempre e solo da come lo vivi, dal tuo atteggiamento, dal fatto di saper creare emozioni positive mentre fai quell’esperienza.
E dipende solo da te.
Poiché noi subiamo le nostre emozioni (scopri cos’è l’indipendenza emotiva), finiamo per dipendere dalla condivisione per stare bene.
Una droga con cui ci proteggiamo dalla solitudine e quindi da noi stessi, come spiega bene Francesco.
Essere soli o sentirsi soli?
Di Francesco Chioda.
“Sentirsi soli” e “essere soli” sono due cose molto differenti, e il problema è quando ti senti solo, a prescindere da quante persone hai attorno a te.
Sono single e vivo da solo per cui non mi è difficile “essere solo” e penso che la capacità di apprezzare la mia solitudine sia un modo per crescere, un talento che mi arricchisce, un modo per non “sentirmi solo”.
Mi piace molto dedicare tempo alle mie passioni, leggere un libro senza interferenze, ritagliarmi del tempo per prepararmi un pranzo a dovere, dedicarmi alla mia casa e vederla in ordine, rifarmi il letto tutte le mattine. Quando per impegni vari non riesco a fare queste cose ne sento la mancanza.
Desidero restare solo per dedicarmi a me stesso, per “sentire” me stesso al netto di ogni “ruolo” che posso avere nella mia quotidianità!
Posso essere padre, partner, amico, avere un ruolo professionale, posso rappresentare molte cose per gli altri, ma quando sono solo sono semplicemente me stesso.
Penso che la solitudine nei termini negativi in cui viene concepita non esista, perché nella solitudine sono in compagnia della più bella persona che conosco.
Ho l’opportunità di vedere i suoi pregi e i suoi difetti, posso giudicarla oppure perdonarla per gli errori commessi, ma soprattutto restando solo ho l’opportunità di osservarla e capirla.
In passato non avevo la capacità di apprezzare la mia solitudine e mi “sentivo solo” ?
Era una sensazione forte, puntuale, cruda e nitida. La percepivo soprattutto in un momento particolare della mia settimana, il sabato sera di ritorno dalla discoteca.
Per assurdo venivo da serate in cui avevo interagito con decine di persone, da un’abbuffata di “non solitudine”, eppure mi sentivo “solo come un cane” ?
Non esagero era esattamente questo il mio pensiero e non riuscivo a capire il motivo del mio stato d’animo.
Mi sentivo solo perché non avevo la capacità di guardare dentro me stesso, mi sentivo solo perché
non ero in grado di apprezzarmi.
Mi giudicavo in continuazione senza neppure accorgermene e sotto quello strato di compiaciuta soddisfazione nutrivo un forte malessere ogni volta che percepivo la mia solitudine.
In questo senso mi “sentivo solo” e avevo il bisogno di continue distrazioni, di qualcosa che mi dimostrasse il contrario, di tanti amici che mi apprezzassero visto che io, dentro di me, non riuscivo a farlo.
Penso che questo meccanismo di autovalutazione modello Amazon sia alla base del sentirsi solo.
Se non ottengo 5 stelle dai miei “recensori”, (forse è meglio dire da me stesso) io ci sto male. Se non ho la capacità di amarmi ho bisogno che lo facciano gli altri, ho bisogno come detto di ricoprire un ruolo.
Da qui una continua ricerca di approvazione, dalle serate in discoteca al bisogno di sentirmi cercato, desiderato, occupato, sentivo il bisogno che qualcuno apprezzasse quello che io cercavo di essere, senza pensare che io per primo dovevo semplicemente imparare ad amarmi!
Oggi ho tanti amici a cui mi piace dedicare tempo ed attenzioni, ai quali adoro donare la mia presenza e ricevere la loro. Quindi cos’è cambiato rispetto a quando mi sentivo “solo come un cane”?
Il fatto che oggi non ho più bisogno che siano gli altri ad apprezzarmi perché anche quando sono solo sono in compagnia di una persona che mi diverte e mi stupisce, una persona che desidero donare agli altri senza indossare vesti particolari!
Quello che posso dare agli altri non è la versione commerciale di Francesco, quella che offro per avere in premio la “non solitudine”, ma semplicemente me stesso in grado di amarmi nella mia solitudine e di conseguenza in grado di donarmi agli altri nella mia unicità.
Un altro elemento chiave nella solitudine è legato al senso di appartenenza.
Se sono solo, non appartengo a niente e nessuno, significa che non sono accolto, amato, apprezzato.
E soffrirò.
Gli esperti dicono che sentirsi parte di qualcosa è essenziale.
De Mello diceva che il senso di appartenenza è un’illusione.
Chi ha ragione?
Di solito De Mello ne capisce di più degli esperti 😀
Cosa vuol dire appartenere?
Significa “essere di”, cioè se io appartengo a un gruppo, sono parte del gruppo, sono proprietà del gruppo in un certo senso.
A che ci serve l’appartenenza a qualcosa?
A non sentirci soli, direi.
A sentire che ci sono altre persone “come noi”, dal momento che appartenere a qualcosa significa seguire le regole di questo qualcosa, sia una famiglia, un gruppo di amici, di colleghi, una religione, un partito politico, una squadra sportiva.
Significa che io sono quel che il mio gruppo è.
Il gruppo, di solito, sopprime l’unicità: se tu sei diverso, o diversa, da tutti gli altri, ti sentirai di appartenere a loro?
E normalmente i gruppi a cui apparteniamo si basano quasi sempre su comportamenti, formalità, modi di fare, parlare, vestire. Condivisione, se ci pensi.
E l’amore?
Io dico che se un senso di appartenenza è sano, non è quello per cui mi sento Italiano, Europeo, Juventino, di destra o di sinistra, cattolico o musulmano.
Il mio senso di appartenenza dovrebbe essere alla mia natura umana.
All’amore.
Appartengo all’amore?
Amo e vivo con amore? Sono parte di un tutto che è amore?
Allora, se mi sento connesso con ogni altro essere umano in quanto mio fratello (se credi potremmo dire “figli dello stesso Padre”), non sono mai solo.
Io appartengo a tutti, e tutti appartengono a me.
Ma non come proprietà.
Come responsabilità.
Perché amare significa scegliere di sentirci responsabili degli altri, prenderci cura di loro.
A quel punto so di essere parte di qualcosa di grande, meraviglioso, che non impone regole con cui, nei gruppi a cui vorremmo spesso appartenere, veniamo privati dalla nostra unicità per diventare tutti simili e conformi a un modello.
Responsabilità ho scritto.
Torniamo da Megumì, questa parola potrebbe essere la più importante in tema di solitudine, e lo vediamo subito.
La solitudine è paura di non farcela da soli
Sentirsi soli è in realtà un’illusione, un falso problema.
Ed è molto probabile che tu stia in realtà confondendo il senso di solitudine con qualcos’altro.
Vediamo un po’: se hai qualcosa di appassionante da fare (come per esempio sto facendo io, riflettendo e scrivendo), ti capita, in quei momenti, di sentirti “solo”?
O piuttosto, stai facendo la tua “scalata” con entusiasmo e concentrazione, godendoti pienamente ogni singolo momento, dimenticandoti magari anche della tua meta?
Io credo che molto spesso ci attacchiamo alle persone, dimenticando di considerarle per ciò che sono, delle meravigliose compagne di viaggio, e scambiando piuttosto la loro compagnia con la nostra meta.
Non abbiamo una direzione ben definita, e sentiamo la necessità impellente, a volte anche inconscia, di colmare l’immenso vuoto della mancanza di senso e di direzione nella nostra vita.
Pensa a un muscolo che, se non tieni in allenamento e non lo utilizzi, si atrofizza.
Allo stesso modo, se non hai mai neanche provato a stare da solo, a fare le cose che ami da solo, o a imparare a fare cose che puoi benissimo imparare a fare ma ti è sempre stato più comodo lasciare che gli altri facessero per te, non sarai mai consapevole di tutto l’enorme potenziale che giace, dormiente ma intatto, in te.
E le tue scelte o non scelte saranno così sempre dettate dalla paura, e non dalle tue speranze, dai tuoi sogni, come afferma Mandela.
La prossima volta che torna il senso di solitudine, per prima cosa chiediti se è vero che sei solo. E che cosa intendi con “essere solo”.
Poi identifica con esattezza che cosa ci impedisce di ottenere il fatto di essere solo/non avere qualcuno accanto.
Potrebbe trattarsi, come abbiamo visto, di una paura di tipo emotivo, quella di soffrire, o di annoiarti, o di non stare abbastanza bene senza la presenza di qualcuno al tuo fianco.
Ma potrebbe anche trattarsi di una paura di tipo pratico (non hai mai fatto da solo alcune cose senza l’aiuto degli altri, o farlo da solo ti sembra troppo difficile e faticoso).
Se hai un problema, trova subito una soluzione o un’alternativa per ogni singolo problema o paura che non preveda l’aiuto degli altri.
Se ti piacerebbe fare qualcosa ma non hai mai provato a farla se non in compagnia di qualcuno, falla subito, inizia a costruire mettendo fin da subito la prima pietra.
Inizia immediatamente ad agire, non rimandare, affronta la paura iniziando subito a fare quello che pensavi che non saresti mai riuscito a fare da solo.
Tu prova, tu agisci.
E vedi quello che, fin da subito, inizia a succedere 🙂
Come dicevo, responsabilità.
Come scrive Megumì, io noto che dietro la paura di restare soli si nasconde la paura di prenderci la totale responsabilità della nostra vita.
A volte mi è capitato di dover prendere decisioni importanti per il sito, la Scuola, il mio lavoro o semplicemente il mio orto.
A volte ho sentito il bisogno di condividerle per avere un consiglio.
Di sentirmi solo se nessuno mi aiutava, si interessava davvero a quello che dovevo fare.
Osservando bene ho capito che la vera paura non stava nell’essere o sentirmi solo.
Ma nella responsabilità.
Se fai tu, decidi tu, affronti tu un problema e lo risolvi tu, significa che dipende tutto, solamente, da te.
E noi siamo educati a chiedere consiglio anche per decidere cosa mangiare 😀
Così, in questi casi mi chiedo: “Giacomo, se fossi solo e non ci fosse nessuno a cui chiedere suggerimenti, cosa faresti?”.
A quel punto smetto di pretendere aiuto e supporto, cerco di analizzare bene il problema, valuto con attenzione, scelgo, agisco e me ne assumo totalmente la responsabilità.
Allora il senso di solitudine scompare.
E così il bisogno di condividere o di essere compreso.
Sono solo e sono capace di affrontare con serenità qualsiasi cosa.
Che sia per qualcosa di pratico, o per la nostra felicità o il nostro benessere, assumerci la totale responsabilità della nostra vita ci farà scoprire che non temiamo affatto la solitudine.
Ma la sofferenza.
Assumiti la responsabilità di risolvere i tuoi problemi, di rendere allegro un sabato sera, di rendere piacevole il tuo lavoro, di rendere imprevedibile la tua giornata.
Assumiti la responsabilità di fare scelte, accettare i tuoi errori e migliorarti, di non capire gli altri e di non ricevere comprensione da loro.
Assumiti la responsabilità di darti amore, gioia, di mettere entusiasmo nella tua vita e di renderti felice.
Se sei felice, la solitudine non fa più paura.
Vediamo cosa succede alla nonna di Pamela, è una cosa molto interessante 😉
La solitudine e le sue stagioni
Di Pamela Bembi.
La solitudine può essere vissuta come una forma di sofferenza, avvertita come un senso di abbandono, di non appartenenza, un po’ come sentirsi senza patria, senza meta, perfino figli di nessuno.
Per me, sentirsi soli, rappresenta un punto di forza, l’inizio di una grande scoperta: quella del sé.
- Ci si potrebbe sentire soli davanti ad un mondo che urla e si agita per ogni minima cosa mentre tu sei calmo e sereno.
- Ci si potrebbe sentire da soli nel momento in cui noti che le priorità e le apparenze comuni, per te hanno valore diverso perché tolgono tempo a ciò che conta realmente.
- Ci si potrebbe sentire soli quando doni tempo ed amore agli altri senza riserve, ma la gente continua ad ammonirti: prima o poi a forza di dare rimarrai a riserva, l’amore è una fregatura!
Questo è il punto!
Ho usato volutamente il condizionale, non per puro caso, perché io ho la certezza di non essere mai sola.
Ti è mai capitato di affrontare periodi difficili, molto impegnativi, nei quali hai scoperto di avere una forza vitale dentro te che razionalmente senti non venga da te stesso?
È nei momenti più bui e nelle tempeste più forti della mia vita che ho avuto dimostrazione del fatto che non sono mai sola, mai. Questa forza è presente in me, in te, anche quando crediamo di non averla, quando avvertiamo la fatica, un passo alla volta, lei c’è!
Io so di appartenere a qualcosa di grande, lo sento e lo vedo in continuazione. Come?
Prestando attenzione.
Sperimento che, avere questa certezza dentro di me però non basta, bisogna agire! A cosa mi serve avere dei talenti e nasconderli per paura?
Questa è la chiave: scegliere l’amore o la paura, scelgo di aprirmi o chiudermi alla vita.
Se osservo con attenzione ciò che mi circonda, senza giudicare, noto che la gente che incontro dice tanto di me.
In questo momento penso a mia nonna. È una donna incredibilmente forte, ricca di fede e di amore. Mi ha insegnato tanto è lo fa tutt’ora con la sua presenza.
Nei mesi invernali, dice spesso di sentirsi sola, lo dice con un velo di tristezza in volto eppure, mia madre è spesso da lei, c’è tanta gente che va a trovarla perché trova saggezza nelle sue parole.
Quando vado da lei, mi piace tanto ascoltarla, a volte sembra un disco rotto perché racconta spesso le stesse storie ma a me non stanca mai, ogni volta mi colpisce qualcosa di nuovo e prendo a farle tante domande.
D’estate, quando si trasferisce nella sua casa al mare, circondata dal verde, immersa nella luce che entra dalle finestre, la TV non l’accende quasi mai perché passa le giornate a fare il pane cotto nel forno a legna, i biscotti, si prende cura del suo giardino provvisto di una grande varietà di fiori.
Al mattino si alza molto presto e gusta con calma la colazione sulla veranda di casa mentre fissa il cielo intriso dei colori dell’alba e ascolta, nel silenzio, la natura che si risveglia, gode di quell’aria fresca del mattino.
Non ha paura di rimanere da sola, quando la sera dopo il lavoro vado da lei, mi dice: “Non mi sento mai sola, qui sto bene!”
E il suo viso lo guardo bene: è tanto luminoso!
Così penso: cosa fa la differenza?
Forse l’inverno a volte grigio e freddo contro l’estate calda e luminosa? Forse la casa in paese che non ha giardino e stanze ricche di luce?
Escludo possa trattarsi di questo. Conosco persone che abitano in ville circondate dal verde ma sono spesso agitate, stanche, e tristi. Poi, ve ne sono altre che abitano in case di pochi metri quadri e con poca luce ma ricche di gioia e di amore.
Saranno le stagioni?
Macché! A me ad esempio piace l’estate e l’inverno ma anche la primavera e l’autunno ?
Non illudiamoci che siano cose o persone a farci sentire ricchi!
È il nostro atteggiamento, il nostro modo di giudicare e valutare la realtà a cambiare il senso che diamo alla nostra vita!
Mia nonna non ha più gente intorno a sé d’estate anzi, forse anche meno.
- Si prende cura, non pretende cure.
- È attenta e presente in ciò che fa, non cerca attenzioni.
- Vive con calma e gusta ogni cosa, ama ogni cosa che la circonda.
Qualche volta le mie figlie l’hanno beccata nel giardino a parlare con le piante, io trovo sia meraviglioso, lo faccio anch’io.
Sono cresciuta con mia nonna, è una seconda mamma per me eppure, queste cose le noto solo ora che ho rallentato la mia vita e osservo con maggiore attenzione e riverenza ciò che mi circonda.
Rallenta, gusta in modo sublime lo scorrere del tempo ed immergiti in ciò che stai facendo, anche ora, mentre leggi, sii concentrato a fare solo questo: leggere con c a l m a.
Ora, a mia nonna che ha 82 anni (portati benissimo devo ammettere), è difficile farle comprendere che calma, presenza, vedere il bello che ci circonda, lasciare la presa, amare, sono le vere soluzioni alla paura della solitudine che avverte d’inverno.
Tutte azioni che compiamo, nulla che ci viene dall’esterno.
Io, che lo so, posso farglielo capire in modo diverso regalandogli una nuova pianta da amare, ringraziarla d’esistere e di essere così com’è, di farle notare tutto ciò che ha che è molto ma molto di più di ciò che le manca.
…. E vedo di nuovo il sole d’estate nei suoi occhi!
Io non so quanti anni tu abbia, ma so per certo che da mia nonna potrai trovare ispirazione anche tu.
Puoi scegliere di vivere la solitudine come punto di forza buttando giù la paura, oppure convincerti del contrario ma sappi che, se scegli la seconda opzione, ti stai perdendo il bello della vita!
Ricorda che non sei mai solo, mai!
Per concludere ripasso la parola a Gianluca, per condividere con te alcuni semplici esercizi che lui usa per vivere bene anche la solitudine.
E vedrai che saranno efficaci anche con te, se li applichi davvero 😉
Dalla paura all’amore per la solitudine
Come è possibile, quindi, vivere bene la solitudine senza sentirsi soli?
Se posso contare sempre su me stesso, non sarò mai solo.
Se io imparo ad amare me stesso, a stare bene con me stesso ed a costruire dentro di me l’equilibrio e le risorse per stare bene non dovrò, per essere felice, più dipendere da persone o cose esterne.
Potrò scegliere di stare in compagnia non pretendendo che gli altri si comportino come io voglio perché ne ho bisogno per stare bene, ma perché sono contento di donare il mio amore e la mia felicità agli altri e di godere della loro compagnia.
Oggi non mi sento più sfigato se mangio solo al ristorante o se sono in compagnia o senza ?
Sto imparando a conoscere meglio me stesso, ad amarmi ed a godere della mia compagnia. Questo mi consente di allenarmi ad amare senza condizioni gli altri in modo sereno e ad essere più felice.
Per riuscirci mi alleno ogni giorno ed in tal senso segnalo degli esercizi che mi hanno aiutato e che mi aiutano ad amarmi ed amare:
VIVERE CON CALMA: mi concentro a vivere e fare tutte le cose con calma riducendone la velocità di esecuzione. Questo mi consente di acquisire maggiore consapevolezza di quello che vivo e di godermelo.
- Identifica delle attività, come ad esempio la colazione, ed impiegaci il doppio del tempo rispetto a quello che impieghi di solito.
- Scegli poi sempre nuove e diverse attività per fare questo esercizio e vedrai che la calma diverrà parte del tuo atteggiamento.
FARE UNA COSA ALLA VOLTA: qualche settimana fa mi sono accorto che spesso stavo con il cellulare in mano. Appena mi svegliavo la mattina per prima cosa prendevo il cellulare e guardandolo facevo le attività (colazione, lavarmi). Mi sto allenando ad alzarmi con calma ed a vivere senza guardare il cellulare i le prime attività che faccio.
- Mi concentro nel vivere un’attività alla volta.
- Questo mi sta consentendo di capire come mi sento, a pianificare meglio la giornata, ad entrare più profondamente in contatto con me stesso e sono consapevole di quanto cibo mangio per colazione ?
SORRIDERE: quando vedi l’immagine del tuo volto riflessa nello specchio o su un’altra superficie sorridi. Il sorriso è sempre contagioso. All’inizio sarà strano, ma non mollare.
COLTIVARE UNA PASSIONE: cerca di dedicare una parte della tua giornata, anche solo una decina di minuti, a una tua passione che non richiede la presenza di altri: a me piace leggere o fare esercizio fisico.
TROVA TU: ci sono tanti altri modi in cui ciascuno di noi può impegnarsi a trovare esercizi per imparare ad amare se stessi. Prova e sperimentali.
Siamo alla fine di questa pagina lunga e approfondita.
Ho voluto osservare la solitudine da tante angolature per aiutarti a riflettere da ora in poi quando la senti, osservarne le possibili ragioni e agire diversamente.
Una cosa l’ho notata anche durante il lockdown di marzo e aprile 2020: gli studenti della mia scuola affrontavano tutti bene la solitudine, anzi, quella era diventata un’occasione preziosa per prendersi più cura di sé.
So per certo che il percorso che ti abbiamo suggerito oggi funziona.
C’è una sola condizione: iniziare a percorrerlo, e la cima arriverà prima di quanto immagini.
Buon viaggio.